Boselli: bello, ben fatto e sostenibile!
L’impegno del Cavaliere Mario Boselli nel promuovere la sostenibilità e la collaborazione internazionale nell’industria della moda italiana
Intervista a Mario Boselli
Cavaliere del Lavoro
Milano è soprannominata Capitale della Moda: è il punto di incontro di stilisti, modelli, fotografi e appassionati di moda che si ritrovano tra le sue affascinanti vie e i suoi storici edifici. Ma dietro la sua fama mondiale e il suo contributo inestimabile all’industria della moda, vi sono figure emblematiche che hanno lavorato instancabilmente per posizionare Milano al centro della scena fashion, una di queste figure è il Cavaliere Mario Boselli, che con il suo spirito imprenditoriale e il suo amore per l’arte sartoriale, ha giocato un ruolo cruciale nel consolidamento della città come fulcro della moda globale.
Imprenditore nel settore tessile, Mario Boselli ha cominciato la sua attività nel 1959 nell’azienda di antica tradizione serica del padre, la Carlo Boselli di Garbagnate Monastero. Dagli anni Settanta all’inizio degli anni Duemila, ha sviluppato le attività dell’azienda di famiglia sia in Italia sia all’estero, lasciandola nel 2005 per affrontare nuovi incarichi. Dal 1999 al 2015 è stato presidente della Camera Nazionale della Moda Italiana, nella quale continua a ricoprire la carica di presidente onorario.
In passato è stato presidente di Federtessile, della Fiera Internazionale di Milano, di Pitti Immagine, dell’Associazione Internazionale della Seta, della Camera di Commercio Italo Slovacca, di Centrobanca e membro del Consiglio di Gestione di UBI Banca.
Quali sono le principali sfide che l’industria della moda italiana affronta al giorno d’oggi?
«Negli ultimi anni, il settore della moda ha subito cambiamenti significativi che hanno toccato diversi aspetti – spiega il Cavalier Boselli – dall’innovazione tecnologica alla sostenibilità, fino alla trasformazione dei modelli di consumo.
Una delle maggiori tendenze è la polarizzazione tra marchi di lusso e produzioni massificate: il modello di “fast fashion” continua ad essere prevalente, caratterizzato da cicli di produzione rapidi e bassi costi, data la produzione massiccia di abiti destinati ad essere utilizzati per brevi periodi di tempo, contribuendo però all’inquinamento ambientale e all’eccessivo consumo di risorse. In molti casi, l’industria della moda si affida ancora a manodopera a basso costo in paesi in via di sviluppo, dove i lavoratori sono spesso sottoposti a condizioni di lavoro inadeguate e salari bassi. Le preoccupazioni riguardano anche il lavoro minorile e la mancanza di sicurezza nei luoghi di lavoro».
Un altro punto cruciale sollevato dal Cavaliere Boselli riguarda la sostenibilità: «Il concetto di bello e ben fatto che è stato associato alla moda italiana per anni deve ora includere la sostenibilità come componente chiave, non tutti i marchi che affermano di essere sostenibili mantengono effettivamente pratiche etiche. Alcuni si impegnano nel greenwashing, ovvero utilizzano campagne di marketing per apparire più ecologici di quanto non siano realmente.
L’industria della moda è diventata una delle industrie più inquinanti al mondo, con un impatto significativo sull’ambiente e sulla salute umana. Secondo la FAO, l’industria tessile è responsabile del 20 per cento dell’inquinamento idrico globale, a causa dell’uso intensivo di acqua durante i processi di produzione e tintura dei tessuti: si stima che la produzione di un solo paio di jeans richieda circa 7.500-10mila litri d’acqua, includendo l’irrigazione del cotone, il processo di tintura e il lavaggio finale.
Per non parlare della sovraproduzione e del conseguente sovraccarico di rifiuti tessili – la Fondazione Ellen MacArthur ha stimato che ‘equivalente di un camion pieno di rifiuti tessili viene bruciato o inviato in discarica ogni secondo – circa 92 milioni di tonnellate di rifiuti tessili all’anno. Soltanto una piccola percentuale dei rifiuti tessili – meno del 1 per cento dei materiali utilizzati per la produzione di abbigliamento – viene riciclato per creare nuovi prodotti tessili».
L’innovazione digitale sta profondamente influenzando il settore della moda, offrendo nuove opportunità e sfidando i marchi a adattarsi a un panorama in continua evoluzione. Qual è la sua opinione riguardo l’integrazione con l’industria della moda?
«Il COVID-19 ha cambiato radicalmente il mondo e l’industria della moda non è stata un’eccezione. Con i lockdown e le restrizioni di viaggio, le sfilate di moda virtuali sono diventate un fenomeno emergente. Con l’avvento delle tecnologie digitali, la moda sta sperimentando nuove modalità di presentazione e vendita – dalle sfilate virtuali all’utilizzo di avatar – non si può sostituire completamente l’esperienza fisica delle sfilate di moda, che sono non solo una vetrina per le collezioni, ma anche un luogo di incontro e scambio di idee per i professionisti del settore.
L’aumento dell’e-commerce ha portato ad un sovraffollamento del mercato online, rendendo difficile per i nuovi marchi emergere. Inoltre, se da un lato l’uso di influencer può essere una strategia di marketing efficace, dall’altro può anche creare un’immagine poco realistica dei prodotti e promuovere il consumismo. Inoltre, la velocità con cui le tendenze cambiano attraverso i social media può alimentare il ciclo di fast fashion.
Con l’evoluzione della moda virtuale, c’è il rischio di una crescente disconnessione tra i consumatori e il valore degli abiti fisici, poiché l’enfasi si sposta sempre più verso l’esperienza digitale».
Oltre alla sua carriera nell’industria della moda, lei svolge un ruolo importante come presidente della Fondazione Italia-Cina, qual è la missione dell’organizzazione?
«Questa fondazione si concentra su facilitare e promuovere relazioni commerciali tra le due nazioni, aiutando imprenditori di entrambi i paesi a espandersi e a valorizzare le rispettive eccellenze. Il popolo cinese ama lo stile di vita italiano, l’acquisto di prodotti italiani, come abbigliamento, scarpe o borse, è visto come un modo per accedere allo stile di vita italiano.
La Fondazione Italia-Cina si pone l’obiettivo di facilitare le relazioni commerciali tra i due Paesi, supportare gli imprenditori italiani che desiderano espandere le loro attività in Cina e, parallelamente, di assistere le imprese cinesi interessate al mercato italiano. In un mondo in cui la globalizzazione è fondamentale, tale organizzazione svolge un ruolo cruciale nell’incrementare gli scambi culturali ed economici».
Leggi altro su storie di copertina- eco rivoluzione