Capitale Umano, ecco come è cambiato
Capitale Umano, ecco come è cambiato, viaggio su come cambiano i rapporti con il lavoro, con il tempo e con la mission aziendale. E di conseguenza, su come cambia la consapevolezza del proprio valore professionale
Un cambio di passo quasi, sul ruolo del valore professionale di ciascuna risorsa. Questo il bilancio di un confronto che coinvolge alcuni responsabili delle risorse umane in vari settori merceologici, specie nell’ultimo periodo. Un’analisi a tratti generica a tratti puntuale che spiega alcuni processi contingenti ma che lascia aperte anche alcune domande-chiave sul mondo del lavoro e sul tema della crescita professionale in azienda, spesso tallone d’Achille nel sistema imprenditoriale Italia.
Il tema ha campo di indagine con una grande linea di demarcazione al centro: pre e post Covid, innanzitutto.
“Prima del Covid il rapporto dei lavoratori con l’azienda come luogo fisico era sostanzialmente simile tra lavoratori d’ufficio e lavoratori di reparto – ci spiega Simone Rizza, HR manager, esperto in processi aziendali di selezione, formazione, gestione e sviluppo del personale e valutazione delle performance – Oggi soprattutto i lavoratori d’ufficio sembrano più legati all’oggetto di lavoro che al luogo. L’identità professionale è meno vincolata al luogo fisico di esecuzione della prestazione, e più focalizzata sull’oggetto di lavoro.
In altri termini, è minore il legame verso il proprio ufficio, la propria scrivania, il proprio “spazio” ed è invece maggiore verso la propria area di lavoro, la propria competenza”.
Un cenno verso un nuovo modo di interagire, lontano dal tradizionale concetto di “team”?
La “cultura del lavoro” – risponde in tal senso Rizza – intesa come un’adesione molto forte all’azienda e il fatto di passarvi molto tempo, spesso anche oltre il dovuto, è sempre meno presente”.
Non ultimo, quindi, l’insieme di variabili che hanno preso possesso del candidato, motore che spinge (o meno) nella scelta del futuro datore di lavoro.
“Accanto alla retribuzione, un fattore di attrattività delle aziende, ma anche di gestione delle persone, è legato sempre più all’equilibrio vita-lavoro. La vicinanza a casa (ad esempio) o la possibilità di lavorare in modalità ibrida diventa un fattore discriminante che si affianca al prestigio della realtà, quasi a pari peso; e contemporaneamente la stabilità finanziaria, la cosiddetta “sicurezza del posto di lavoro”, pur importante, non è più centrale – spiega il manager – come prima nella scelta da parte dei candidati potenziali.”
Ma se tutto sposta l’asse verso il lavoratore ed il suo microcosmo professionale, non dovrebbe scaturire un una nuova ambizione lavorativa, capace di spingere nuove leve? Come si spiega un generale rallentamento invece delle candidature emerso nel recruitment aziendale? Cosa resta del proprio “senso” in azienda?
“L’impressione è che siano sempre meno le persone disposte a “sposare” la missione di una specifica azienda solamente per questioni reputazionali o di nome, a meno che essa non sia davvero molto distintiva – ci risponde l’esperto. Tutto sta nel cogliere cosa giochi a favore perché l’azienda ritrovi valore, attraverso il personale che l’ha scelto si potrebbe dire o anche attuando scelte precise su temi in auge. Ad esempio “…è vero che sono sempre di più le persone che si attendono di vedere nelle aziende un impegno per la sostenibilità, a tutto tondo – conclude Simone Rizza – e che tale impegno sia coerente poi con le scelte imprenditoriali”.
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