Decentralizzare il web per crescere
Il punto di vista di Armando Strofaldi, co-fondatore di DVRS, società di consulenza nell’ambito del Web3, sul tema del decentralizzare il web come fattore di crescita
Una fabbrica di idee creative alimentate dalla blockchain: si definisce così la start up innovativa DVRS (Diverso), fondata a Milano nel 2022 e composta da un team di 18 elementi con competenze che spaziano dalla finanza al marketing, dal gaming allo sviluppo blockchain. Ne abbiamo parlato con Armando Strofaldi, co-fondatore della società ed esperto in economia e finanza.
Quali sono i principali servizi offerti e i progetti che avete in cantiere?
«Ad oggi stiamo applicando la tecnologia Blockchain su alcuni pilastri, che riteniamo prospettici e importanti per il futuro. Il primo è la finanza decentralizzata, per la quale il nostro team si pone come pioniere all’interno dell’ecosistema europeo e mondiale. In particolare, ci siamo specializzati nella creazione di exchange decentralizzati, ossia delle piattaforme digitali online non controllate o gestite da una singola azienda o istituzione finanziaria e che permettono agli utenti di scambiare le proprie criptovalute.
Recentemente abbiamo aiutato il Cetif, il Centro di Ricerca dell’Università Cattolica a sviluppare un progetto, condiviso con altri attori rilevanti a livello internazionale, come Fireblocks, Polygon Labs e Linklaters e selezionato come il migliore da Milano Hub, il Centro per l’Innovazione di Banca d’Italia. Siamo in pole position, possiamo dire che dobbiamo vincere il Gran Premio nei prossimi mesi… Manca ancora una regolamentazione generale, che appena arriverà favorirà l’adozione in massa da parte delle banche di questo tipo di software.
Un altro pilastro è quello della tutela dei beni Made in Italy. Tutto quello che facciamo lo facciamo come società italiana: abbiamo tutti lavorato all’estero per diversi anni e poi, dopo aver costruito un network internazionale, siamo tornati in Italia in seguito alle agevolazioni sul cosiddetto rientro dei cervelli. Vogliamo fare impresa in Italia e dare, nel nostro piccolo, un impulso al Paese. Questo non è sempre facile, soprattutto quando si parla di progetti che hanno a che fare con l’Open Innovation.
Piuttosto che lavorare in grandi multinazionali, ci siamo presi il rischio di provare a fare qualcosa in autonomia. Stiamo lavorando per combattere la contraffazione dei beni prodotti in Italia, poi esportati e replicati nei mercati esteri, in particolare quello cinese, consapevoli che questo rappresenta una perdita ingente di know-how e di capitali. Tramite tecnologie NFC e NFT abbiamo aiutato un’azienda a tracciare i propri prodotti e il cliente finale ad essere sicuro che il bene è certificato e può essere rivenduto sul mercato secondario. Un terzo campo di applicazione molto importante è quello del Digital Twin, in cui il prodotto fisico viene posseduto dall’acquirente anche a livello digitale.
A tal proposito, stiamo collaborando con l’azienda Zakeke, che realizza plug-in per la renderizzazione di oggetti in 3D e che grazie a noi ha fatto un passo in più, permettendo a chi acquista l’oggetto fisico di personalizzarlo e di renderlo unico attraverso la creazione di un NFT, associato alla vita dell’oggetto e che viaggia insieme a lui in eventuali passaggi di proprietà, garantendo autenticità e tracciabilità. Si tratta di una tecnologia applicata principalmente ai beni di lusso e che in futuro potrebbe favorire il collegamento tra l’oggetto digitale e un servizio assicurativo.
All’ultimo convegno dei Giovani Imprenditori di Confindustria tenutosi a Rapallo lo scorso giugno, di cui siamo stati sponsor tecnico, abbiamo offerto le nostre competenze in tema di Metaverso, proponendo un’esperienza “phygital”: chiunque entrasse sul Metaverso aveva la possibilità di partecipare a una lotteria e di vincere dei premi messi in palio dagli sponsor, presenti anche fisicamente all’evento. Abbiamo aiutato aziende innovative che non sempre riescono a promuovere la loro mission nel mondo reale a far conoscere i propri servizi nel mondo digitale, a una platea più ampia di persone.
Il nostro servizio di punta è Smilee Finance, con il quale abbiamo voluto dimostrare di essere in grado di creare un prodotto di rilevanza internazionale, che andasse ad innovare un mercato molto complesso come quello dei derivati finanziari. Un mercato dalle enormi potenzialità ma che, ad oggi, ha ancora alla base una mentalità vecchia di 40 anni, con il back office delle banche che fa ancora da passacarte. Noi vogliamo creare un software che possa agire in modo automatico e decentralizzato utilizzando la tecnologia Blockchain, nella fattispecie Arbitrum.
Inoltre, ci occupiamo di finanza rigenerativa (ReFi), che unisce le logiche della finanza decentralizzata alle logiche ESG, andando a creare un ecosistema di incentivi in favore dell’ambiente: ogni singolo componente della comunità che ruota attorno a un progetto di finanza rigenerativa crea valore per l’ambiente e ogni azione viene tracciata dalla tecnologia Blockchain. L’ultimo ostacolo da superare è la possibilità che il mondo reale e quello della Blockchain possano dialogare in modo continuativo. Ad esempio, se voglio sapere quanto ossigeno produce un campo pieno d’erba, non riesco a saperlo senza l’utilizzo dell’IoT (Internet of Things), l’unico sistema che insieme alla Blockchain permette di creare un sistema continuativo di monitoraggio.
Come DVRS, non vogliamo diventare una società di consulenza generalista ma vogliamo essere una squadra d’assalto superspecializzata: nel momento in cui c’è da fare qualcosa di specifico in un tempo definito, noi conosciamo le leve da utilizzare. Essendo in pochi ma con skills molto avanzate, riusciamo a garantire un risultato con una certa flessibilità.
Il nostro raggio d’azione è il Web3, ossia lo stadio attuale di Internet: nata tra gli anni ’80 e gli anni ’90 come Web1, la rete si limitava alla visione e allo scambio di informazioni e si presentava come un mezzo di fruizione in cui in pochi producevano le informazioni e in tanti potevano condividerle. Con il Web2 si è passati allo sviluppo dei social networks, con la possibilità di creare contenuti ai quali viene dato un valore e che danno vita a nuove linee di business.
Ad oggi, tuttavia, il dato relativo al numero e alle cause delle visualizzazioni viene monetizzato da pochi grandi colossi come Google, Meta o Amazon. Le informazioni che noi come utenti forniamo ad essi sono la fonte del loro guadagno. Con il Web3 i giganti dell’Hi-Tech non sarebbero più al centro del sistema e la massa monetaria verrebbe redistribuita alla persone che effettivamente posseggono il dato, il contenuto, l’oggetto in sé e per sé. Pensiamo solo ai vantaggi fiscali e al monopolio creato da questo stato di cose.
La concentrazione della ricchezza nelle mani di pochi non è mai positiva. Il Web3 significa riappropriazione della propria identità digitale, significa creazione di lavori basati su autonomia e libertà creativa e perciò appaganti.
Due sono i libri che insieme potrebbero dare una visione integrata di che cosa si intende per Web3: “La denazionalizzazione della moneta” di Friedrick von Hayek e “La società opulenta” di John Kenneth Galbraight».
Perché ha deciso di entrare a far parte dell’Associazione italiana per l’esercizio dei diritti degli azionisti AIEDA e quali istanze porta avanti?
«Ho sempre avuto passione e curiosità per il mondo finanziario, tanto che ho iniziato la mia carriera nell’investment banking dopo una laurea in finanza quantitativa a Londra. Diversi anni di esperienza nel mondo del trading mi hanno fatto capire che esiste un distacco tra l’economia reale e l’economia finanziaria, quella delle banche di investimento. Molto spesso gli azionisti di minoranza non vengono tutelati a dovere, con il management che non tende a fare l’interesse dell’azienda ma solo il proprio.
Una pratica molto diffusa, soprattutto in Italia, consiste nell’impostare degli obiettivi di ricavo più bassi per ottenere un certo bonus, anziché creare un valore continuativo per l’azienda. Molte aziende generano interessi avversi (il cosiddetto moral hazard) nei confronti degli investitori e degli azionisti di minoranza. Oltre al mio ruolo in AIEDA, ho voluto dare il mio contributo alla costruzione di un ecosistema finanziario più stabile e trasparente, fondando, insieme ad Antongiulio Marti, la società Hoop Capital.
Essa si propone di attuare investimenti attivisti in società quotate. L’attivismo è una pratica molto seguita negli Stati Uniti ed anche nei mercati asiatici, in base alla quale fondi di investimento entrano all’interno di società quotate, andando a supervisionare direttamente dal board il lavoro del management. Il tutto allo scopo di tutelare gli azionisti di minoranza e di allontanare gli altri azionisti dal rischio di corruzione da parte del management.
La pratica attivista è secondo noi un ottimo incentivo alla creazione di valore per le aziende italiane, nell’ottica dell’assunzione di nuove persone e di conseguenza dell’espansione delle aziende. In definitiva, vogliamo favorire la crescita del PIL».
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