DoubleYou, welfare well done
Dalla salute mentale al reskilling del lavoratore, dalla sostenibilità ai flexible benefit, ecco cosa conta oggi nel welfare in azienda. Ne abbiamo parlato con Umberto Cassinari, Ceo di DoubleYou
Il valore umano, il suo significato in un’azienda di oggi, le modalità di lavoro che mutano e si allineano a nuove tecniche di produzione, strategie che puntano a creare una sinergia nuova con il lavoratore e con politiche anche sostenibili. Mentre sembra essere iniziata un’era professionale nuova, e al tempo stesso ancora in profonda evoluzione, c’è un panorama di novità e di opportunità che non tutte le aziende però colgono.
Una dimensione del benessere aziendale che ha ancora bisogno, in alcuni casi, di essere compreso e poi sviluppato, come ci racconta Umberto Cassinari, Ceo di DoubleYou, azienda che elabora e sviluppa progetti di welfare per le altre imprese, dalla consulenza all’erogazione dei servizi.
Quali sono i servizi che – ancora oggi – le aziende, dopo un primo briefing con la sua società, dimostrano maggiormente di non considerare importanti quando si parla di welfare?
«Spesso le aziende approcciano i progetti di welfare concentrandosi sulle iniziative più comuni e diffuse, come i fringe benefit e i buoni pasto, per poi avvicinarsi al mondo dei flexible benefit. Tuttavia, un aspetto che viene frequentemente trascurato è l’analisi approfondita dei bisogni. Da queste analisi, infatti, possono emergere importanti necessità legate ai carichi di cura o alla conciliazione tra vita lavorativa e personale.
Anche la comunicazione efficace del progetto di welfare ai beneficiari è un elemento che, talvolta, non riceve l’attenzione che merita. Infine, un altro servizio spesso messo in secondo piano è l’implementazione di progetti di mobilità sostenibile che, non solo apportano benefici ai lavoratori e alle aziende, ma contribuiscono positivamente all’ambiente, risultando però meno conosciuti rispetto ad altre iniziative più tradizionali».
Dopo periodi pandemici, soluzioni in smart working e fenomeni di burnout, su quali criteri il welfare aziendale ora deve orientarsi per il prossimo futuro?
«Il periodo pandemico ha trasformato profondamente il mondo del lavoro, influenzato anche dalle nuove generazioni e dal loro approccio più flessibile. Sebbene le tematiche retributive rimangano centrali, insieme alle politiche di sostegno al reddito, si sta assistendo a una crescente attenzione verso i benefit e la flessibilità oraria.
I progetti di welfare dovrebbero concentrarsi, quindi, su iniziative che promuovano un buon equilibrio tra vita lavorativa e privata, facilitando la gestione degli impegni personali e familiari. Inoltre, un’area cruciale su cui il welfare aziendale dovrebbe orientarsi è la salute mentale. Il fenomeno del burnout, acuito dalla diffusione dello smart working, ha evidenziato la necessità di offrire ai dipendenti supporto psicologico e strumenti per gestire lo stress.
Programmi di benessere mentale, accesso a consulenze professionali e la promozione di una cultura aziendale più inclusiva sono strategie che possono migliorare il benessere generale e prevenire situazioni di disagio».
Come, a suo avviso, le aziende stanno modificando e concentrando realmente l’attenzione sul valore umano e in quali casi?
«Le aziende stanno progressivamente adattandosi ai cambiamenti nel mondo del lavoro, anche in risposta alle nuove aspettative delle generazioni di lavoratori. Si nota una crescente attenzione verso l’equilibrio tra vita lavorativa e privata e la flessibilità oraria, con un’evoluzione che privilegia il raggiungimento degli obiettivi rispetto al mero conteggio delle ore lavorate.
Inoltre, le imprese stanno valorizzando le risorse umane attraverso l’introduzione di processi di performance management e salary review, finalizzati a promuovere la crescita personale e professionale dei lavoratori. La formazione continua e lo sviluppo delle competenze, in particolare, sono diventati strumenti essenziali per sostenere la motivazione e la fedeltà dei dipendenti, offrendo opportunità di aggiornamento e reskilling in un mercato in continua evoluzione. Non da ultimo, si registra un crescente interesse verso il benessere psicologico e la creazione di un ambiente di lavoro più sano e sostenibile.
Le aziende stanno introducendo politiche orientate al benessere dei lavoratori, non solo dal punto di vista fisico, ma anche psicologico, per favorire un contesto in cui le persone si sentano valorizzate e supportate a livello umano».
Focalizzandoci sul connubio salute-lavoro in particolare, quale valore assumerà nei prossimi anni e come le aziende possono investire sin da ora su questo aspetto?
«Le crescenti difficoltà del sistema sanitario nazionale complicano sempre di più l’accesso a cure tempestive, un problema che, con l’invecchiamento della popolazione, è destinato a peggiorare ulteriormente. Tempi di attesa prolungati e risorse limitate rendono difficile per molti cittadini ricevere assistenza medica adeguata e in tempi utili.
In questo contesto, le imprese potrebbero giocare un ruolo fondamentale investendo non solo in fringe benefit come detto, ma in progetti di welfare più ampi e strutturati, in linea con le finalità sociali previste dalla normativa. Un esempio concreto è l’offerta di programmi di prevenzione sanitaria, come check-up medici periodici, che permetterebbero di intercettare problemi di salute in fase precoce, riducendo così il ricorso alle cure ospedaliere e alleggerendo il carico sulle strutture pubbliche.
Parallelamente, sarebbe auspicabile un intervento del legislatore per incentivare ulteriormente l’accesso a servizi sanitari di qualità, favorendo la collaborazione tra settore pubblico e privato.
Le imprese, attraverso piani di welfare fiscalmente agevolati, potrebbero finanziare iniziative di prevenzione e benessere per i propri dipendenti, contribuendo a ridurre la pressione sul sistema sanitario nazionale e promuovendo una cultura della salute preventiva. In tal modo, si creerebbe un ecosistema in cui la prevenzione non solo migliora la qualità della vita dei lavoratori, ma contribuisce anche a un uso più efficiente delle risorse sanitarie pubbliche».