GenZelo, la Gen Z oltre i trend

Dietro ogni trend ci sono motivazioni profonde. Il progetto GenZelo, fondato da Cecilia Nostro, non si limita a descrivere i comportamenti della Gen Z, ma ne indaga le radici con un approccio innovativo e umano, lontano dai modelli analitici tradizionali e dall’IA
Ciascuna tendenza ha una sua ragione. Un principio cardine forse semplice eppure articolato, che ha fatto nascere il progetto GenZelo, un osservatorio sulla generazione più giovane, analizzando la sua realtà e soprattutto i suoi comportamenti.
Un’intervista con l’ideatrice di questo progetto, Cecilia Nostro, Founder di Zelo, mostra come sia fondamentale non solo entrare nel merito, ma anche perché scoprire i trend legati agli under 30, nonché potenziale futura classe dirigenziale, con un approccio audacemente umano e quasi in controtendenza nell’era dell’IA.
Com’è nato e come si è distinto l’osservatorio da altre realtà?
«Zelo nasce come conseguenza di un progetto fatto per TikTok dalla mia precedente azienda: sono stata 30 giorni con dieci ragazzi di 20 anni. In quell’occasione mi sono resa conto del fatto che tutte le persone adulte, me compresa, avevano dei pregiudizi sui ragazzi di quella generazione. Ho trovato incredibile capire che, in realtà, ci fosse una serie di motivazioni dietro gli atteggiamenti di quei ragazzi che venivano trascurate».
Da qui, il progetto.
«Zelo non nasce unicamente per descrivere la Gen Z, ma nasce per descrivere i “perché” della Generazione Zeta che, come tutte le altre generazioni, è connotata da un certo tipo di
comportamenti. Da qui, l’azienda è diventata sempre più specializzata nello studio delle persone raggruppate nel loro concetto di generazione con una visione sbilanciata sulle ragioni intrinseche che le muovono e che sono legate tendenzialmente alla natura dell’essere umano: ciò di cui si ha paura, quello per cui ci si emoziona, sentirsi parte di un gruppo».
Quali sono gli obiettivi?
«L’ossessione di Zelo è cercare di introdurre un pensiero creativo, non puramente didascalico, a tutto quello che ascoltiamo, ai dati che osserviamo e a quello che succede quando parliamo con le persone. In generale, pensiamo che gli istituti di ricerca, o in generale chi si occupa di fare ricerca e di scoprire qualcosa, abbiano il dovere di spiegare qualcosa di speciale a chi ascolta, non solo di raccontare e fare una fotografia della realtà.
Sarebbe opportuno mettere a disposizione l’esperienza e la capacità operativa per dare un’interpretazione dei risultati».E quali sono le tendenze che giocano un ruolo di primo piano nel futuro delle prossime generazioni?

«È necessario fare una premessa. Il mondo è molto cambiato e le “tendenze” riguardano un concetto molto diverso da quello di un tempo. Una volta le tendenze erano qualcosa di molto tangibile, erano dei fenomeni di cui poi si sentiva parlare a distanza di tempo e che potevano essere studiati con dei dati per isolare i tratti su cui si fondava una cultura o una generazione.
Oggi, le tendenze sono dei gusti momentanei che durano pochissimo tempo e che non ha molto senso inquadrare, descrivere o studiare. Questo, è anche il futuro dell’utilizzo dei social e della velocità del mondo in cui viviamo che non permette di appassionarsi a qualcosa che può diventare “trendy” e che può essere studiato. È una continua corsa a vivere una vita cercando di “surfare” il benessere».
Quindi?
«Per rispondere alla domanda, di questi tempi è molto difficile prevedere i trend. È molto più facile pensare a come saranno i ventenni di oggi nel futuro: saranno persone estremamente legate alla salvaguardia del proprio benessere, alla ricerca del proprio equilibrio, alla consapevolezza che essere supereroi probabilmente è un concetto sbagliato.
Saranno persone che vorranno legarsi di più al senso della natura, più calma e più accogliente. Dall’altra parte, qualcun altro sarà vittima della nevrosi del mondo veloce, della reverenza dei social e dei comportamenti sociali effimeri. Credo che il trend sarà di avere persone molto lente o persone molto veloci, ambiziose e un po’ spietate».
Quale valore aggiunto rivela la scelta del modello adottato da Zelo?
«Zelo approccia il mondo delle ricerche in controtendenza, in modo molto “artigianale”, creativo e umano. Mette il ruolo del ricercatore al centro, e lo evolve. Enfatizziamo lo spirito critico del ricercatore, la sua curiosità e la sua capacità creativa nell’osservare dei fenomeni che altri possono solo osservare.
Anziché farci aiutare dalla tecnologia o dall’IA, cerchiamo di trovare nel nostro cervello, confrontandoci tra noi, l’informazione dietro l’inconscio delle persone. Siamo molto attenti alla natura dell’essere umano, ai tempi dell’essere umano, ai suoi up and down emotivi. Non vogliamo analizzare l’essere umano tagliando “con l’accetta” certi concetti e isolandoli, come farebbe un computer.
Noi vogliamo analizzarli in toto, nel complesso: l’essere umano secondo noi reagisce meglio se lo tratti come un essere umano, non come un qualcosa che ti deve dare un output che poi vai a inserire in una macchina».