• 15/02/2025

American Chamber of Commerce in Italia – Intervista a  a Davide Burani

 American Chamber of Commerce in Italia – Intervista a  a Davide Burani

American Chamber of Commerce in Italia. Cooperazione strategica per le relazioni con USA – Intervista a  a Davide Burani, Head of Advocacy dell’AMCHAM Italy

L’Italia negli USA ha un ruolo leader non solo nei settori tradizionali, ma anche in quelli innovativi delle tecnologie emergenti, dove vanta una competenza impareggiabile, che si estende dalla meccanica, alle biotecnologie, all’aerospazio e all’energia

Gli Stati Uniti rappresentano per l’Italia uno dei principali partner commerciali: nel 2020 – prima della pandemia e delle tensioni politiche e commerciali internazionali degli ultimi anni – il nostro Paese esportava verso gli USA automobili, apparecchiature mediche e scientifiche, prodotti alimentari e bevande, per un valore di circa 24 miliardi di dollari, allo stesso tempo importava beni per circa 22 miliardi dollari.

A rappresentare gli interessi delle imprese americane che operano in Italia e delle imprese italiane che hanno legami con gli Stati Uniti è la Camera di Commercio Americana in Italia, conosciuta anche come American Chamber of Commerce in Italy (AmCham Italy), una delle più importanti camere di commercio internazionali presenti in Italia.

L’American Chamber of Commerce (AMCHAM) in Italia fu fondata a Milano nel 1915 da 19 soci fondatori, fra i quali Charles F. Hauss (che fu il primo a presiedere l’associazione), John Stucke (primo vicepresidente), Giulio Cesare Cotta (chiamato a svolgere le funzioni di tesoriere) ed Emilio Lepetit (scelto come segretario onorario), con lo scopo di realizzare un collegamento tra imprenditoria italiana e statunitense e le loro culture.

Oggi, fulcro strategico nelle relazioni commerciali tra Italia e Stati Uniti, rappresenta un network di 118 camere di commercio americane in 105 paesi, con oltre 3 milioni di aziende affiliate. «Il nostro obiettivo è quello di provare a dare suggerimenti alle istituzioni italiane per rendere il nostro paese più attrattivo nei confronti del mercato americano – a spiegarlo è Davide Burani, Head of Advocacy dell’AMCHAM Italy – infatti, in Italia ci sono oltre 2500 aziende a partecipazione americana: dalla Whirlpool alla Abbott, da Microsoft a Google alla Marazzi, noi cerchiamo di fare in modo che queste 2500 aziende possano aumentare il flusso dei loro investimenti nel nostro mercato, vale per i grandi investitori americani, le grandi multinazionali, i fondi di private Equity, ma anche per le medie imprese che vogliono allargarsi in Europa e puntare al mercato italiano. Infatti, anche se la nostra sede è a Milano, sul territorio italiano operano per noi professionisti con ramificazioni nei tessuti economici locali, che ci aiutano a mantenere buoni rapporti sia con le istituzioni politiche che con le istituzioni economiche, come ad esempio le Confindustrie locali».

Nel campo dell’energia, la guerra tra Russia e Ucraina come influenza i rapporti commerciali tra Italia e USA?

«Non si può essere contenti della situazione che ormai da un anno stiamo vivendo, è una cosa che ha profondamente scosso le nostre coscienze. Ci siamo svegliati un anno fa, dopo un periodo come la pandemia, in un mondo impegnato con la guerra. Detto questo i rapporti tra Italia e Stati Uniti si sono ulteriormente rafforzati: il dato sulle esportazioni italiane negli USA ha visto il record di tutti i tempi, raggiungendo i 69 miliardi di dollari con un incremento superiore al 10% rispetto all’anno precedente e con un surplus commerciale italiano che ha registrato circa 40 miliardi di dollari. Questo ci fa capire che da parte delle aziende italiane c’è stata una focalizzazione verso occidente e non più verso oriente come negli anni precedenti al conflitto, dimostrando come le aziende italiane abbiano capacità di innovazione e una qualità di prodotti molto alta che permette poi di avere successo sul mercato americano. Io li chiamo i tre step dell’internazionalizzazione – le aziende italiane iniziano esportando negli Stati Uniti, in un secondo momento aprono una sede di rappresentanza negli Stati Uniti, il terzo step è quello di iniziare a ragionare da multinazionale. Anche se con dimensioni più piccole, di fatto, si parla delle multinazionali tascabili italiane, un trend in grandissima crescita».

Ritenete che il forte aumento del dollaro nei confronti dell’euro possa avere un riflesso significativo sulle esportazioni americane verso l’Italia? E particolarmente in quali settori?

«Dal nostro osservatorio i temi di politica monetaria non sono la prima preoccupazione – i numeri del 2022 mi dicono che nonostante gli aumenti questi non sono stati influenzati dalle politiche monetarie adottate dall’americana FED né, per lato europeo, dalla banca centrale. Quello che vediamo è che le aziende stanno iniziando a collaborare sempre di più su progetti ad ampio raggio. Ci sono settori nel quale ovviamente ci sono più criticità, vedi il mondo della cybersecurity e della difesa. Oggi il dibattito tra Stati Uniti e Unione Europea, quindi di riflesso anche in Italia, riguarda più elementi di politica industriale che di politica monetaria: con i 369 miliardi di dollari che il presidente Byden ha stanziato per l’IRA (Inflaction Reduction Act) un pacchetto “massiccio” e “incisivo” di sussidi alle industrie “verdi” statunitensi, in UE si teme che questo possa infliggere un duro colpo all’industria e all’economia europea. Ma il blocco europeo, come su tante altre questioni critiche (approvvigionamenti energetici, guerra in Ucraina, relazioni con la Cina), è profondamente diviso su come rispondere».

La moda e la gastronomia rimangono i driver dell’esportazione italiana verso gli stati Uniti o intravedete altre produzioni che possano acquisire maggiore importanza?

«L’Italia è nota nel mondo per le tre F: food, fashion and furniture, nel 2021 l’interscambio di beni e servizi tra Italia e USA ha raggiunto la cifra di 94,6 miliardi di dollari – ma non dobbiamo pensare che il nostro export americano sia fatto solo di moda e design – la meccanica strumentale rappresenta un quarto delle vendite seguita da chimica, mezzi di trasporto e dopo dal settore food&wine. Nella domanda italiana di prodotti statunitensi sono invece prevalenti i semilavorati e componenti (metalli; plastica e gomma, combustibili e petroli, tessuti industriali), prodotti chimici e farmaceutici, meccanica e mezzi di trasporto. Gli investimenti italiani negli Usa si concentrano per lo più nei settori di meccanica e mezzi di trasporto, arredamento ed edilizia, moda, servizi e agroalimentare, mentre gli investimenti statunitensi in Italia ruotano soprattutto attorno ai settori dell’industria manifatturiera, di cui una fortissima componente deriva dal vino, è interessante notare come gli ultimi anni molti fondi americani abbiamo effettuato investimenti nelle cantine vinicole italiane e nel turismo di lusso».

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Paola Idilla Carella

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