La community di Raffaello: dalle porte ai portali, innovare per tradizione

“Lo sposalizio della Vergine” di Raffaello (particolare), Pinacoteca di Brera (Milano)
Le premesse di quel che stiamo diventando c’erano già nel passato. Ce lo dice anche un artista simbolo del Rinascimento
Mai nella storia come in questo momento, iniziato con molte incertezze e reticenze trent’anni fa, abbiamo assistito a uno sviluppo scientifico e tecnologico tanto rapido, tanto potente, infinitamente fluido.
Il presente è la pagina nuova di un libro che ha noi come protagonisti. Se impariamo a leggerlo bene, possiamo ricavarne motivazione, consapevolezza, indicazioni sul come fare, sul come progettare e procedere. Se questo libro ha anche le figure, come dicono i bambini, non solo è più facile leggerlo, ma è anche più piacevole. E se si dice “piacere di conoscere”, è perché conoscere per noi umani è un grande, irrinunciabile piacere, nonostante tutta la fatica e l’impegno che richiede.
Di questo tempo agitato, attivo e reattivo, travolgente e disorientante, ferito e convalescente, proviamo a ricavare un lessico fondamentale per capirci, per ritrovarci a qualche tavolo comune, meno smarriti e spaventati.
Tra le parole chiave, una sicuramente è innovazione. Che non è ‘novazione’, ma ‘innovazione’.
C’è quell’ ‘in’, che cambia tutto. Non si tratta di essere nuovi in maniera decidua, fragile, senza conseguenze, in superficie, ma di essere nuovi -in, dentro e da dentro. E non possiamo che essere dentro il passato e la tradizione che ci precedono, che ci hanno permesso di arrivare sin qui. Se non si conoscono uno spazio e un tempo, non si può pensare di cambiarli, di emanciparsene, di renderli nuovi.
L’innovazione diventa tema caldo quando cerchiamo soluzioni a problemi imprevisti, che sparigliano le carte e gli assetti, che ci fanno constatare quanto siano inadeguati i consolidati e ben oliati modi di fare, organizzarci, lavorare, vivere.
Se riconsideriamo il passato con uno sguardo fresco, non appesantito dalla pedanteria classificatoria, ci accorgiamo che i germi, le premesse e le promesse di quel che stiamo diventando, c’erano già. Ci sono immagini che, rilette, diventano ancoraggio confortante per un tempo – il nostro – bollato come disumanizzante, tecnocratico, polverizzato e frammentato in bit.
Consideriamo “Lo sposalizio della Vergine” di Raffaello, conservato alla Pinacoteca di Brera a Milano.
In primo piano si svolge la scena che dà il titolo al prezioso olio su tavola cinquecentesco. Sullo sfondo si staglia un palazzo maestoso con il tetto a cupola, gli archi a tutto sesto della romanità, di grande compattezza, impenetrabile. Ci sono finestre nella parte superiore, ma serrate da grate e opache. La luce pare non entrarvi e niente degli interni può essere scorto.
Nella parte inferiore, però, appare l’innovazione: una porta di cui nemmeno si vedono i battenti, aperta su un interno che contemporaneamente è esterno.
Si vede il paesaggio agreste dietro il palazzo, il cielo, la linea dell’orizzonte che evoca vastità, lontananza resa vicina dall’organizzazione prospettica dell’immagine, che fa sì che tutto converga lì e parta da lì per avere proporzionata dimensione.
Bene, possiamo considerare quella porta il nostro portale, l’accesso attraverso il quale raggiungiamo altri mondi, la soglia in cui interno ed esterno si toccano, comunicano, sono l’uno via all’altro. Non dobbiamo nemmeno spostarci, ci basta guardare, come facciamo davanti allo schermo di un device, e siamo in un altrove, con una sincronicità ineguagliabile.
Qui e ora, laggiù e ora. Ed ecco che miliardi di soggetti sparsi possono riunirsi, come accade nel primo piano di Raffaello, in una piccola comunità di parlanti, di scriventi, di lettori. Per passare da comunità a community, da Rinascimento a Infosfera, abbiamo impiegato quattrocento anni. Non è forse così vero che siamo impreparati. Ci dimentichiamo, piuttosto, che innoviamo per tradizione.
Cristina Muccioli
Filosofa, docente di Etica della comunicazione all’Accademia di Brera di Milano

Filosofa, docente di Etica della comunicazione all’Accademia di Brera di Milano