Andare oltre la LIM: la didattica 4.0 secondo il creatore di Weschool

team Weschool
Parla Marco De Rossi, il “nerd” che vuole rivoluzionare la formazione (a distanza)
«La didattica digitale non è la didattica a distanza: la missione di WeSchool è riscrivere i metodi di insegnamento: ci saremo anche quando le lezioni torneranno in presenza al 100%». Parola di Marco De Rossi, 30 anni di Milano, fondatore dell’unica piattaforma italiana per la classe digitale fra quelle gratuite indicate dal ministero dell’Istruzione, accanto alle applicazioni di Google Suite e Microsoft. Lanciata con un finanziamento “seed” da 500mila euro nel 2016, WeSchool ha “scalato” prima del lockdown che ha forzato la digitalizzazione del sistema formativo, diventando profittevole e chiudendo già il 2019 con «mezzo milione di euro Ebitda», spiega De Rossi.
La piattaforma conta 1,7 milioni di utenti registrati, ma il progetto piace anche ai finanziatori che in agosto hanno fatto un aumento di capitale di 6,4 milioni, guidato da P101 e sottoscritto da P102 e Italia 500 – Azimut, Tim Ventures, Cdp Venture Capital Sgr, Club Digitale e Club Italia Investimenti 2. Come parte dell’operazione Risorgimento digitale, protocollo d’intesa fra Tim e Miur, WeSchool ha fornito corsi gratuiti sulla “didattica integrata per le scuole aperte” ai docenti digitali, in vista del rientro di primavera: il 92,1% dei partecipanti si dice favorevole alle nuove tecnologie e per l’89,4% la didattica in presenza dovrà integrarle, secondo un’indagine del Censis.

«La tecnologia cambia i nostri comportamenti e non si può disimparare: al definitivo ritorno in classe la scuola italiana non sarà più quella che era prima dell’emergenza sanitaria – dichiara De Rossi -. L’attività in presenza potrà essere aumentata e potenziata dal digitale, come avviene nel mondo del lavoro, ma per farlo serve un profondo rinnovamento delle metodologie didattiche». Classe capovolta, imparare insegnando (“teach-to-learn”), apprendimento su progetti concreti o indagini, storytelling, gamification: sono alcune strategie nel “breviario” di WeSchool, che hanno ribaltato l’antico schema di lezione frontale, improponibile online, diventando quasi una materia di discussione comune.
«Scoprire che la ricetta è composta per tre quarti da principi di cultura pedagogica ha richiesto del tempo, per noi che siamo nati con un background di tech startup: nel concreto le cose all’inizio andavano male – ammette De Rossi -. La svolta è avvenuta quando abbiamo compreso che il tema non era fornire uno strumento, ma aiutare i docenti a capire perché la didattica doveva cambiare: con i primi corsi gratuiti sulle metodologie i numeri hanno iniziato a esplodere». Oggi sono 230mila i docenti iscritti, ai quali WeSchool propone corsi online (da 0 a 149 euro), ma la piattaforma funziona anche per la formazione aziendale, scelta da Telecom, Regione Calabria e Arma dei carabinieri. Generali, Enel, Intesa e altri hanno creato contenuti speciali per la scuola.
Ora, il Governo prevede di stanziare 31,9 miliardi di euro per l’istruzione e la ricerca, puntando a realizzare la Scuola 4.0, con aule cablate e di nuova concezione: «Ma bisogna andare oltre la semplice installazione di una lavagna Lim in aula, come avvenuto in passato, ed è positivo che sia previsto anche un capitolo di spesa nella formazione dei docenti: è questo il vero fattore di successo – sottolinea De Rossi -. Non possiamo chiedere agli insegnanti di reinventarsi senza investire nella loro formazione e anche la missione di WeSchool è riscrivere la didattica. Con o senza digitale, è solo uno strumento: è più difficile cambiare la mentalità di 700mila docenti che una piattaforma tecnologica. Pensi che abbiamo integrato Zoom per le live solo all’inizio dell’emergenza sanitaria».
Un impegno che parte da lontano, per un ex “primino” che a 14 anni cercava un corso informatico di programmazione in codice al liceo classico Manzoni di Milano e finì per realizzare da volontario il sito della sua stessa scuola: «Una volta finito, il preside Luigi Barbarino mi ‘pagò’ in buoni Fnac, ma la scuola di coding ancora non c’era. Così decisi di aprire una piattaforma di condivisione di contenuti online, basata sul volontariato e lo scambio di competenze e contenuti, per insegnare agli altri a programmare, in cambio di lezioni su Linux. Si chiamava Oilproject, era l’embrione di WeSchool, YouTube ancora non esisteva e i telefonini erano vietati a scuola…».
Oggi, WeSchool sta ampliando l’organico anche grazie all’ultimo round di finanziamento. Nel giro di otto mesi è passata da nove a 27 figure, con l’obiettivo di arrivare a 45 entro i prossimi tre. «Stiamo cercando persone con competenze manageriali, responsabili di progetto in grado di coordinare team di sviluppo composti da programmatori, ma anche redattori della didattica, graphic designer, animatori – conclude De Rossi -. Anche il settore educational ha bisogno delle competenze tipiche della comunicazione esterna, per creare contenuti avvincenti. In modo controintuitivo, abbiamo realizzato ‘La scuola di carta’, sulla falsariga della famosa serie Tv spagnola: è la storia di un professore che ribalta il metodo didattico solo usando carta e matita».