L’umanesimo digitale di IGOODI
IGOODI, l’avatar factory di Billy Berlusconi, sta cambiando il concetto di personalizzazione digitale. Ne abbiamo parlato con il suo fondatore
L’avvento delle tecnologie digitali ha rivoluzionato il modo in cui interagiamo con il mondo che ci circonda. Ma oltre a cambiare il nostro ambiente, queste tecnologie hanno anche aperto nuove possibilità nell’applicazione diretta all’uomo. L’integrazione delle tecnologie digitali nell’esperienza umana va oltre l’uso di dispositivi elettronici e applicazioni mobili. Oggi, assistiamo a una convergenza di discipline come l’intelligenza artificiale, l’internet delle cose, la realtà virtuale, la biotecnologia e molte altre, che si fondono per creare un futuro connesso, in cui l’essere umano diventa parte integrante di un ecosistema tecnologico sempre più avanzato.
Nel panorama delle tecnologie digitali in continua evoluzione, una delle innovazioni più affascinanti è rappresentata dalla tecnologia del Digital Twin (gemello digitale), una soluzione all’avanguardia che sta aprendo nuove opportunità e possibilità senza precedenti nell’integrazione tra il mondo fisico e digitale.
IGOODI, avatar factory fondata nel 2015 da Billy Berlusconi, è rapidamente diventata un punto di riferimento nel settore delle tecnologie digitali grazie alla sua capacità di anticipare le tendenze, oltre che alla visione lungimirante e al lavoro incessante per sviluppare soluzioni tecnologiche digitali che migliorano la vita delle persone e ridefiniscono i limiti del possibile.
«La missione principale di IGOODI è quella di poter dare a ciascuno un proprio avatar in questo mondo sempre più digital – spiega Billy Berlusconi – in modo tale da poter valorizzare le persone nella loro unicità e poter abilitare nuovi prodotti e servizi che siano comunque legati alla realtà. Viene introdotto così un elemento centrale che ancora manca nel digitale, cioè il nostro corpo».
Quale tecnologia viene utilizzata?
«Le tecnologie sono diverse, nel senso che abbiamo una ricetta con tanti ingredienti e, quindi, si va dalla fotogrammetria, con la quale abbiamo realizzato il nostro body scanner The Gate, a tecnologie come la computer vision e la computer graphics, per il mondo dei cinema e dei videogiochi. La materia è ampia e svariata: molte tecnologie sono ancora in fase di ricerca e sviluppo. Siamo tra le poche realtà al mondo che hanno creato un processo end to end per la creazione di questi avatar realistici in 3D per poterne usufruire e abilitare nuovi processi».
Quali opportunità vede per l’integrazione della digitalizzazione del corpo umano con altre tecnologie emergenti, come l’intelligenza artificiale o l’internet delle cose, per creare soluzioni più avanzate nel settore della salute?
«Sicuramente, il mondo della salute è un tema che abbiamo a cuore: vediamo l’avatar come una perfetta integrazione alla cartella clinica 2.0 con la forma del nostro corpo; in più, se la integriamo con intelligenza artificiale, diventa un po’ come dare i superpoteri al nostro avatar. L’avatar rappresenta un mezzo che può essere integrato nella medicina d’avanguardia, quella con le cosiddette quattro P, cioè medicina predittiva, partecipativa, personalizzata e preventiva.
Inoltre, l’avatar è fatto di bit, dunque è un mezzo tecnologico sul quale possono essere integrate altre tecnologie o altri dispositivi. Ad esempio, l’integrazione di wearable con il nostro avatar può far sì che questa cartella digitale possa essere dinamica e continuamente aggiornata, dando maggior qualità e servizio alla nostra assistenza sanitaria, oltre che fornire ai medici un supporto nelle diagnosi o nelle terapie».
Quali sono le sfide più significative che avete affrontato nello sviluppo e nell’implementazione di soluzioni di digitalizzazione del corpo umano e come le avete superate?
«Noi siamo partiti nel 2015 praticamente quasi da zero: è stata un’avventura nella quale la sfida principale credo sia stata quella di standardizzare dei processi per digitalizzare il corpo umano, dove siamo fondamentalmente tutti diversi. Il nostro obiettivo era cercare di uniformare, omogeneizzare e poter rendere disponibili questi avatar in un modo interoperabile. È stata una sfida ardua: forse è stata una certa incoscienza che ci ha permesso di andare avanti e di poter superare i vari ostacoli. Abbiamo fatto tanta attività interna di ricerca e questo ci permesso di superare le difficoltà».
Pensa che l’avatar economy influenzerà sempre di più il nostro stile di vita?
«Credo che in questo futuro sempre più digitale, gli avatar saranno sempre più presenti e ne avremo diverse tipologie. Sicuramente quelli “cartoonizzati”, quelli da videogioco, quelli più per la parte ludica o social, ma avremo anche gli avatar realistici, il nostro digital twin.
Si creerà in questo modo un vero e proprio ecosistema, un’economia basata su avatar, dove sarà sicuramente fondamentale poter avere la proprietà dei nostri dati, con la consapevolezza di avere la possibilità di poterli gestire, condividerli con chi vogliamo, anche per guadagnarci magari attraverso uno scambio equo per ottenere determinati servizi.
Naturalmente, ci vuole ancora del tempo, soprattutto a livello normativo. Infatti, bisognerà che le istituzioni e i principali player lavorino per creare un ecosistema equo per far sì che si possa sfruttare e utilizzare la tecnologia come supporto di questi nuovi scenari».
Come gestisce l’aspetto etico e il consenso informato dei pazienti nell’ambito della digitalizzazione del corpo umano e come affrontate le preoccupazioni legate all’equità e all’accessibilità delle tecnologie nel settore della salute?
«Noi siamo assolutamente compliant con quella che è la normativa GDPR e, quindi, anche se parliamo specificatamente di salute, oggi siamo ancora in una fase di ricerca e sviluppo. Ovviamente c’è il consenso da parte dei pazienti, che si mettono a disposizione per effettuare questi test».
Come gestisce la cultura aziendale e quale importanza attribuisce all’etica e alla responsabilità sociale?
«Noi cerchiamo di fare innovazione e innovare vuol dire pensare fuori dagli schemi ed essere sicuramente consapevoli che la tecnologia è uno strumento. La prima domanda che ci poniamo è etica, perché bisogna capire come questa innovazione viene utilizzata, dove e perché. Sicuramente abbiamo un pensiero molto attento perché sappiamo che la tecnologia digitale, come anche gli avatar, potranno certamente avere un ruolo determinante sulla popolazione».
Quanti avatar sono stati prodotti da IGOODI fino ad oggi?
«Abbiamo realizzato circa un migliaio di avatar, principalmente in Italia e per tutte le fascia di età».
Infine, IGOODI: cosa significa?
«Rappresenta quello che c’è dietro all’azienda stessa, nel senso che viviamo in due dimensioni, una reale e una digitale. La prima rappresenta “il mio io reale”, la seconda il mio “io digitale”. In mezzo troviamo good come ponte che mette in comunicazione questi due mondi. Oppure, più semplicemente, I good I nel senso che il mio avatar, nella mia vita digitale, semplifica la mia vita reale».
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