Networking power: la scommessa vinta da Cofoundry
Dalla condivisione di spazi a incubatore di servizi: un’impresa che rivoluziona il coworking (e supera così anche la pandemia)

L’idea nasce sempre da un’esigenza. Quella di Erica Turchetti, come libera professionista, la porta prima a setacciare location, per svolgere un lavoro poi che le rivela un nuovo business, basato non solo sulla condivisione di spazi funzionali e storici, ma su una nuova formula di networking che nel presente è la forza per la ripartenza. Una svolta che – tutt’altro che a rischio dunque, persino in tempi di restrizioni e distanziamenti – supporta la libera impresa di Pmi e professionisti. Ecco come è nato (e continua a crescere) Cofoundry.
Com’è nata l’idea di un un’impresa di servizi che mette insieme spazi, nuovi contratti d’affitto e libere professioni?
«Cofoundry è nato un po’ per gioco nel 2017, quando sono entrata alle Fonderie Napoleoniche in zona Isola a Milano, uno spazio industriale che conoscevo già all’interno di un cortile. Mi comunicava un modo di lavorare non convenzionale, ideale per avere un ufficio dedicato. Era di 125 mq, quindi molto grande e molto costoso per una sola persona, quindi ho cominciato a lavorare all’idea di condividerlo con altri che, infatti, hanno aderito al progetto. Da lì ho capito che quello era il lavoro che faceva per me: mettevo insieme le persone, creando dei momenti di networking davanti a un caffè o un bicchiere di vino per scambiarsi collaborazioni e informazioni. Il tutto senza stare da sola: la solitudine in questo periodo sta condizionando tante cose e per me l’idea di condividere degli spazi invece è stato fondamentale e mi ha portato a creare un ambiente adatto alla crescita delle persone. Così, dopo quella prima location, abbiamo acquisito altri 1500 mq delle Fonderie Napoleoniche (e al suo interno oggi vi sono circa 40 aziende che fanno parte del progetto e sono ospiti Cofoundry). Il nome è nato proprio dalla fonderia, dall’idea di “mettere insieme”».
Qual è stata la conditio sine quanon che ha dato ragione alla sua idea?
«È una realtà pensata per piccole-medie aziende, free lance e anche start up. Diamo la possibilità di avere uno spazio dedicato e in cui le attività possano identificarsi. Qui ogni ospite non è “presso Cofoundry”, ma può brandizzare gli spazi, non abbiamo open space, ma spazi chiusi a chiave, dove ciascuno ha una sua vera nicchia e può anche personalizzare il tutto. Ovviamente, noi diamo tutti i servizi necessari come scrivanie, telefonia, connessione veloce, mobili ecc., ma all’interno le società possono portare tutto ciò che li caratterizza. In più, altro elemento, c’è la condivisione. Io e il mio team abbiamo voluto far sì che si condividessero momenti e situazioni: quindi sfruttiamo i cortili esterni per le occasioni di confronto, facendo di Cofoundry anche un incubatore per sviluppare progetti, attraverso coffee break settimanali o anche delle sinergie, dove valorizziamo le persone, sviluppiamo idee spesso anche comuni, consigliando fornitori e così via. Io faccio da mediatrice fra le aziende e spesso creo sinergie che accomunano le aziende, per far sì che anche loro possano avere del materiale in più da presentare ai clienti, ad esempio, sfruttando proprio la rete di Cofoundry».
La pandemia che impatto ha avuto e come ha influito sullo sviluppo della sua impresa?
«Quest’anno ha avuto un impatto netto. Ci sono stati momenti difficili in cui gli spazi erano vuoti, ma con un contatto umano molto forte, seppure a distanza. La forza della rete di Cofoundry, dove tutti i clienti nel lockdown hanno avito bisogno di me e del mio team e quindi abbiamo ascoltato le esigenze di ciascuno di fronte a un momento così duro, rafforzando una fiducia reciproca e permettendoci a vicenda di dare continuità al lavoro e, quindi, prospettive migliori. L’esigenza era quella di non rimanere da soli e in questo abbiamo fatto la nostra parte, anche solo via web, per procedere su alcuni progetti che potevano essere magari determinanti per free lance e start up. Sentirsi davvero vicini e davvero tutti sulla stessa barca ci ha aiutato molto in quei momenti difficili, dandoci una maggiore grinta per superarli».
Il suo modello di business si svilupperà anche su altre aree geografiche?
«Il mio progetto è sempre stato quello di toccare più parti d’Italia e, se si può, anche all’estero prima o poi, perché le mie aspettative sono sempre molto alte. Il Covid ha un po’ rivoluzionato i piani, anche se a settembre 2020 è partita una seconda location di Genova, dove non c’era molta conoscenza del coworking.
Abbiamo portato il nostro format a febbraio anche in zona Precotto, a Milano e quindi il Covid non ci ha fermato. Abbiamo in preventivo un’altra struttura, che al momento non possiamo annunciare, ma che sarà aperta entro dicembre 2021».
Ci sono in prospettiva anche delle novità sull’offerta complessiva che darete nelle prossime opening?
«Il nostro sviluppo non si fermerà a queste location, ma contiamo di ampliare molto la rete. È in continua evoluzione questa attività, resta quanto abbiamo finora voluto e aggiunto rispetto al classico coworking. Il nostro core business sono i servizi legati al networking. Quindi sì, abbiamo in progetto altre attività che mirano a questo obiettivo e che porteranno il nome di Cofoundry: ce ne inventiamo una ogni quindici giorni, in base alle esigenze dei clienti che abbiamo [sorride, n.d.r.]. Quello che ci aiuta a sviluppare strategie nuove è proprio il fatto di relazionarci con gli altri. Questo ci dà servizi in più e più tailor made, perché sono ritagliati su misura anche per i nostri clienti».
Prossimi obiettivi?
«Sicuramente aprire altri punti Cofoundry nei prossimi anni e sviluppare questa opportunità per profili analoghi a quelli dei nostri attuali clienti. Quello che resterà è il rapporto stesso con le strutture storiche che sceglieremo: preferiamo sempre location con una storia che poi cerchiamo di portare avanti. La Fonderia Napoleonica di Milano, ad esempio, è il luogo dove si facevano gli stampi per le campane, o nella seconda sede milanese di Precotto c’erano le affrancatrici delle Poste, così come a Palazzo Lauro a Genova, una sede legata all’armatore Achille Lauro. Noi vogliamo dare un’identità alle aziende all’interno di spazi di una certa importanza, perché sentano nel business il rapporto col passato e si proiettino nel futuro, storia e innovazione insieme, valori che per noi sono elementi fondamentali. E in questi spazi abbiamo in mente di potenziare il networking, ovvero progettare collaborazioni fra piccole aziende, studenti, start up future e professionisti».