Quando la figlia eredita il ruolo del padre nel passaggio generazionale in azienda

Non sempre, quando a ereditare le redini dell’azienda sono le figlie, questo delicato momento viene vissuto con serenità
Marta Ortega, nuovo presidente esecutivo di Zara in un comunicato ha dichiarato: «Ho vissuto e respirato questa azienda fin dalla mia infanzia e ho imparato da tutti i grandi professionisti con cui ho lavorato negli ultimi 15 anni. Ho sempre detto che avrei dedicato la mia vita a rafforzare l’azienda costruita dai miei genitori, guardando al futuro, ma imparando dal passato». Il concetto è chiaro: me lo sono meritata, sudata e soprattutto ho talmente tanto amore e determinazione per questa azienda che farò del mio meglio (meglio forse di chiunque altro). Pochi dubbi, tanta passione e determinazione.
Ma non sempre, quando a ereditare le redini dell’azienda paterna sono le figlie, questo delicato momento di passaggio viene vissuto dalle donne con la stessa serenità. Quali differenze ci sono rispetto agli eredi maschi? Quali differenze e diffidenze la nostra cultura crea intorno a loro?
Quasi tutte le imprenditrici con le quali ho avuto occasione di parlare per approfondire questo argomento, affermano di aver sentito la necessità di “dover dimostrare di meritare quel ruolo”, non per una questione di sicurezza personale ma piuttosto per un contesto che, più o meno velatamente, ha mandato loro questo segnale. Se per gli eredi maschi il passaggio è qualcosa che ci si aspetta, alla stregua di un diritto di sangue, per le donne la necessità di fare bene e dimostrarlo è un prerequisito necessario e costante, gli uomini sembrano essere più sicuri di potercela fare e di meritarsi quella posizione rispetto alle donne, che tendono invece a mettersi più in discussione.
Seppure in una cultura ancora poco favorevole alle donne, il passaggio generazione è un momento delicato a prescindere dal genere. Sicuramente è un momento nel quale tanti nodi di relazioni familiari vengono al pettine, alcuni legati addirittura ai tempi lontanissimi dell’infanzia. Chi ha vissuto questo momento di passaggio insieme ai fratelli ha percepito in maniera molto netta la sensazione che la “natura” quasi richieda un erede maschio e quindi se invece “arriva” una donna accade che trovi molta più chiusura e diffidenza intorno a sé.
Quando una donna prende il timone dell’azienda spesso lo eredita da un uomo, il padre il più delle volte, e quindi si trova a giocare quel ruolo con un modello assolutamente diverso; questo la porta inevitabilmente a essere in bilico tra una parte che dice “devo essere come mio padre” e l’altra che cerca di trovare un proprio stile autentico che è inevitabilmente diverso da quello precedente. Questo porta a interrogarsi sul modo giusto di porsi, su come poter dare continuità prendendo il meglio dal modello paterno pur esplorando un proprio modo di essere leader che non può essere uguale a quello di un uomo. Le donne infatti sono più aperte ad alcune tematiche e attente ad aspetti sottili della vita aziendale, se cercano di replicare troppo il modello paterno rischiano di trascurare una sfaccettatura della leadership che può in realtà portare tantissimo valore in azienda.
Sembra quindi che una parte grande della questione sia quella di legittimarsi a essere diverse, di permettersi di esplorare e arricchire il modello di leadership che c’è stato in azienda senza farsi bloccare dalle aspettative di chi si ha intorno, di mettere da parte quella vocina che dice che devi dimostrare a tutti di meritartelo. Ciò nonostante molto più spesso sono i figli maschi che vengono visti come un prolungamento del padre e questo aspetto, carico di paragoni, per loro può essere molto pesante e concede meno spazio per poter esplorare ed esprimere sé stessi.
«Dalle donne ci si aspetta inevitabilmente qualcosa di diverso, quindi seppur l’asticella sia molto alta almeno non è fortemente finalizzata alla somiglianza con il padre», sostiene l’imprenditrice Katia Restelli che insieme al fratello Cristiano, ha preso le redini di Tecninox una eccellenza italiana, con sede a Origgio, presente da oltre 40 anni nel mercato della contaminazione controllata. «Il fatto di salire al timone insieme a mio fratello mi ha fatto vivere e sentire le differenze e i diversi limiti che esistono tra maschi e femmine nel delicato momento del passaggio generazionale. Non è facile per nessuno e il cammino personale da fare è delicato per entrambi anche se con delle diversità».
Durante questo passaggio sono importanti l’organizzazione e l’impegno ad accompagnare chiunque prenda le redine, nell’entrare nel ruolo e nell’identità che ne consegue, lavorando proprio sugli aspetti strettamente familiari e personali; più si riesce a farlo in modo umano, attento e consapevole, migliori sono i risultati nel breve e lungo periodo per il leader ma anche per tutta l’organizzazione.
Giovanna Carucci – Business generative coach Giovanna Carucci – Ceo e founder di #Authenticleader