Riaprono bar e ristoranti, ma non è (ancora) una Milano da bere
Barbieri (Confcommercio): «Il primo vero ristoro è il lavoro»

Secondo un popolare meme divenuto virale a fine aprile, il milanese-tipo, iperorganizzato e maniaco delle public relation, «si è già fatto una lista mentale dettagliata di tutti i ristoranti con i tavoli all’aperto». Il decreto Riaperture, infatti, ha consentito il consumo al tavolo in bar e ristoranti esclusivamente all’aperto e così, dal 26 aprile in poi, i titolari delle attività si sono ingegnati con tavolini e dehor, per attirare la clientela in cerca di approdo conviviale.
A Milano, tuttavia, secondo Confcommercio il 50% delle imprese è sprovvisto di spazi en-plein-air e, rispetto alla zona arancione, la zona gialla porterà 71,4 milioni di euro in più alla ristorazione. La possibilità di servire pasti anche al chiuso a pranzo (come avvenuto a febbraio), avrebbe portato ulteriori 71,2 milioni di euro, ma per metà delle 9mila attività del settore, secondo i dati dell’associazione degli esercenti sui permessi permanenti di occupazione del suolo pubblico, non è cambiato nulla. Per loro, si va avanti con delivery e asporto.
L’attenzione è già puntata al prossimo provvedimento “Sostegni bis” o “Imprese”, allo studio del Governo con un ipotetico scostamento di bilancio di 40 miliardi di euro: «Di questi, 22 dovrebbero essere destinati alle imprese, affinché arrivi il doppio degli aiuti rispetto al decreto Ristori che con 11 miliardi ha portato 3mila euro in media a esercizio», spiega Marco Barbieri, segretario Confcommercio di Milano, Lodi, Monza e Brianza, a proposito dei nuovi contributi attesi a fondo perduto. «Chiediamo inoltre l’esenzione della Tari per tutte le attività commerciali chiuse per legge e della Cosap (canone di occupazione suolo pubblico, nda) fino a fine anno. E chiediamo di riaprire in sicurezza, perché il primo vero ristoro è il lavoro», aggiunge.
Se da un lato il decreto Riaperture porterà i ricavi complessivi delle attività commerciali e dei pubblici esercizi a 1,09 milioni di euro, il 70,8% di un valore normale senza Covid, dall’altro lascerà scontenti soprattutto i ristoratori. Il recupero totale rispetto alla zona arancione sarà di 269,3 milioni di euro in più, ma sarà il commercio al dettaglio a beneficiarne maggiormente, con 197,6 milioni di euro. «È una riapertura con un passo indietro – sostiene Barbieri -: consentire ai ristoratori di lavorare al chiuso sia a pranzo che a cena, con distanziamento, riduzione coperti e nel rispetto dei protocolli di sicurezza, avrebbe invece permesso di controllare meglio gli avventori, piuttosto che ritrovarsi con assembramenti fuori dai locali che fanno solo asporto, dalle 18 in poi».
Negli occhi ci sono ancora le immagini della movida in Darsena, corso Sempione e tra i vicoli di Brera. «Il problema è di ordine pubblico, ma non possono rimetterci i ristoratori con le chiusure o imputare loro la responsabilità degli assembramenti. D’altra parte, le limitazioni attuali sembrano incongruenti con la possibilità di tenere spettacoli in live-club, cinema e teatri fino a 500 persone al chiuso, concessa dall’ultimo decreto legge”.
Eppure, il Comune di Milano aveva approvato a dicembre un nuovo regolamento per agevolare l’occupazione temporanea leggera del suolo pubblico, con tavolini, tende, sedie e fioriere, “sbocciati” in effetti un po’ ovunque in Primavera, complice l’esenzione dal canone unico patrimoniale (ex Cosap) prorogata dal decreto Sostegni fino al 30 giugno. Ciononostante «le circa 2mila nuove concessioni riguardano soprattutto ampliamenti di quelle già esistenti», secondo Barbieri.
Sul settore poi, pesa ancora lo smartworking: «Dal lunedì al venerdì Milano è una città da 3 milioni di abitanti, ma ancora oggi mancano all’appello 800mila dipendenti e pendolari e la pausa pranzo rappresenta il 25-30% del fatturato per un’attività di questo settore. Inoltre, il delivery aiuta solo in parte, perché copre il 15-20% degli incassi. Da gennaio al 30 aprile un ristoratore è rimasto chiuso mediamente per 98 giorni e per chi non ha suolo pubblico la situazione non è ancora cambiata: il settore chiede solo di poter lavorare».