Spazio Geco, educazione al patrimonio

Marianna Belvedere, vicepresidente di Spazio Geco, racconta il lavoro della cooperativa: attraverso soluzioni innovative punta a trasformare musei e luoghi d’arte in spazi partecipativi
Sembra ancora una visione innovativa e, al tempo stesso, troppo audace per molti, quella di trasformare il patrimonio culturale in contenuti accessibili e dotati di una propria forza attrattiva. Ciò che è certo è che proprio questa rappresenta la strategia vincente alla base del progetto di una società cooperativa, Spazio Geco, nata nel 2018 dalla volontà di figure esperte e diverse, accomunate dalla passione per i beni culturali.
Marianna Belvedere, storica dell’arte e progettista culturale, Luca de Sanctis, architetto e designer, e Sergio Camici, ingegnere informatico e Project Manager hanno così unito le forze e le competenze per realizzare un’iniziativa che punta a creare allestimenti e prodotti di nuova concezione, finalizzati a una vera e propria “educazione al patrimonio”, facendo così del valore dell’arte non solo il punto di partenza ma anche il fulcro del percorso stesso.
«Lavoriamo al servizio del patrimonio culturale inventando, progettando e realizzando soluzioni innovative e capaci di aprire i beni culturali alla fruizione del pubblico contemporaneo – ci dice Marianna Belvedere, storica dell’arte nonché vicepresidente di Spazio Geco –.
In questo passaggio mettiamo tanta energia, passione e competenza, sicuramente molta creatività, ma sempre finalizzata al raggiungimento di uno scopo molto specifico e nobile: riuscire a “far parlare” i testimoni del nostro passato, rendere i beni veri portatori di memoria collettiva alla comunità del presente e del futuro, “rompere le barriere” e dare voce alle fonti in maniera accessibile, utile, divulgativa ed efficace.
Lavoriamo affinché i musei e i luoghi della cultura diventino spazi in cui partecipare, ritornare molte volte nella vita, capire qualcosa di noi contemporanei e trovare risposte per il futuro». Considerando la ricca collezione di opere che il patrimonio artistico italiano conta, l’esperimento può sembrare arduo, lodevole, in molti casi utopistico se ci si confronta con fattori diversi che spesso oggi distraggono dal valore culturale dell’arte.
Cosa può fare, dunque, la differenza per focalizzare un’attenzione anche proficua? Sicuramente partendo dalla capacità di valutare e aggiornare il settore stesso, fatto di musei, collezioni, archivi, biblioteche e gallerie che sembrano comparse ferme nel tempo, poco percepiti dalla massa.
«Lavoriamo molto bene e ci sentiamo davvero “utili”, soprattutto nei contesti piccoli, minori, spesso meravigliosi scrigni di tesori sconosciuti e purtroppo incapaci di comunicare. Il nostro lavoro, nel piccolo come nel grande, consiste nel
trovare il giusto modo per “aprire” questi scrigni alla fruizione dei contemporanei, fragili compresi – spiega quindi Belvedere –. Ideare soluzioni innovative che fungano da chiavi di accesso al contenuto, senza soverchiarlo, ma rendendo efficace, a livello di divulgazione, il suo sfaccettato messaggio e significato».

E qualche esempio non manca. «Negli ultimi 15 anni si stanno realizzando grandi trasformazioni in questo senso – continua la vicepresidente – in ambito museografico e anche nel dibattito museologico, che parallelamente si sviluppa. Termini e temi come quelli dell’accessibilità, inclusione, partecipazione attiva, abbattimento delle molteplici barriere invisibili che ostacolano la fruizione consapevole, sono all’ordine del giorno nel settore culturale.
L’educazione al patrimonio non può più prescindere, a nostro avviso, dalla profonda conoscenza di questo cambiamento in atto e dalla consapevolezza del fatto che siamo davanti a generazioni che hanno un modo di interagire con la conoscenza del tutto diverso da quello tradizionale. I luoghi della cultura, per essere ancora frequentati e per rimanere un punto di riferimento, hanno il dovere di lavorare nella direzione dell’innovazione della propria comunicazione e soprattutto della fruizione dei contenuti che conservano».
Solleticando l’attenzione dei più visionari, allora, verrebbe da chiedersi quali siano le prossime frontiere nel settore, avendo riconosciuto le sue potenzialità, ma non ancora le giuste strade da percorrere per esprimerle. E ci sono alcuni punti chiave poi da considerare. «Innovare il settore culturale è un lavoro in cui le frontiere sono da abbattere tutti i giorni, c’è moltissimo lavoro da fare – assicura la vicepresidente della cooperativa –.
Si tratta di un settore “povero”, su cui sussistono investimenti, pubblici e privati, ridicoli rispetto ad altri settori [un primo fattore determinante, n.d.r]. Le professionalità in campo sono sole, spesso “non giovani” e a volte in difficoltà ad agire in senso prospettico.
Noi operatori economici di supporto e in servizio al settore possiamo aggiornarci e proporre soluzioni innovative sempre più efficaci, ma il problema è la sostenibilità economica nel tempo di tutto quello che viene spesso faticosamente raggiunto». E si giunge quindi a un secondo aspetto chiave.
«La manutenzione – conclude Belvedere – è un problema molto concreto con cui ci scontriamo. Ci vuole sempre una bilancia molto equilibrata tra apporto tecnologico e sostenibilità nel tempo di ciò che si è creato. Per questo motivo tendiamo sempre di più a “spostare” i prodotti multimediali sui device personali dei visitatori come web, app [terzo punto, n.d.r.].
Anche l’intelligenza artificiale può rappresentare un campo utile da applicare al settore, ma forse più per alleggerire flussi inaffrontabili dallo scarso personale con servizi di informazioni veloci via chatbot su orari e informazioni base piuttosto che per sostituire l’intelligenza naturale delle persone e delle competenze».